In quasi tutto il mondo il Brasile sembra rappresentare il prossimo “Eldorado del vino”, soprattutto per i produttori europei, che stanno ancora attraversando una crisi seria. Tuttavia è necessario che proprio gli europei si rendano conto della realtà brasiliana. Partendo dai numeri.
Quando si dice che in Brasile il consumo è di 2 litri pro capite l’anno, non si dice che 1,6 litri sono di vino fatto con uva da tavola americana. Un vino semplice, venduto in damigiane da 5 litri. Inoltre bisogna tenere presente che l’80% di quegli 0,4 litri pro capite di vino di qualità presente sugli scaffali dei supermercati non supera i 18 real, ossia all’incirca 10 dollari, compreso tutto il carico di imposte e tributi, vini il cui valore iniziale non supera 1 dollaro. Un mercato, quindi, che deve ancora essere costruito.
Occorre inoltre sapere che l’offerta odierna conta non meno di 22.000 etichette di vini a buon mercato, per un consumatore totalmente disinformato su quello che beve e che non è in grado di citare nemmeno tre qualità di uva.
Ma la cosa più interessante da conoscere è quella relativa alle tasse e ai costi di distribuzione. Io dico sempre che qui in Brasile quando ci sediamo al ristorante beviamo una bottiglia di vino e ne paghiamo 16. Alla fine, a chi restano le altre 15? Vediamo una breve sintesi.
Prendiamo un vino del Vecchio mondo a, diciamo, 3,60 real, ossia circa 2 dollari all’origine, aggiungiamo tutta la catena di costi e imposte, tasse e margini di questa bottiglia dall’origine alla nostra tavola: fatti quattro conti, tra ritiro dalla casa vinicola, imbarco, costi del container refrigerato, spese portuali, di assicurazione e costo dello spedizioniere, stando stretti si arriva ed essendo ottimisti si arriva a poco meno di 5 real (4,94 secondo un calcolo fatto con alcuni produttori di vino che esportano qui in Brasile).
Ma è solo l’inizio. Nella tabella ho riassunto tutte le voci che si vanno ad aggiungere alla nostra bottiglia, suddividendo tra un vino proveniente dal Mercosul (quindi Argentina e Cile), che gode di accordi privilegiati di scambio, e uno dall’Europa. Proseguiamo con il vino europeo.
Una lunga fila di balzelli
Abbiamo nell’ordine la tassa d’importazione (R$ 1,33) + l’IPI (Imposta sui prodotti industriali), che sono altri R$ 1,08, per arrivare al subtotale di R$ 7,35. Da questo momento in poi incide il Pis (Piano di integrazione sociale) con R$ 0,14 e il Cofins (Contributo per il finanziamento della sicurezza sociale), con R$ 0,68, e si arriva a un altro subtotale, di R$ 8,17
Aggiungiamo l’Icms (Imposta sulla circolazione delle merci e prestazione di servizi), una sorta di tassa di ingresso da R$ 2,72, e la nostra bottiglia, solo per aver respirato l’aria del Brasile, è già arrivata a R$ 10,90.
Poi è la volta del margine dell’importatore, che varia molto da uno all’altro. Ho calcolato qui un margine modesto del 45% sulla vendita, in questo caso di R$ 8,92 (ma è importante notare che questo valore comprende il 7% di imposte sulla vendita, di nuovo Pis e Cofins, e in più CSLL e IRPJ + la differenza di Icms in ingresso e in uscita) e ancora costi di amministrazione, campioni per il ministero, deposito refrigerato, diffusione, consegna, commissione delle vendite, cataloghi, costi di manutenzione, di stoccaggio e perdite per prodotti avariati. A questo punto il nostro vino dal deposito dell’importatore a un prezzo di vendita per persone giuridiche di R$ 19,82.
Quindi si aggiunge un’ICMS di uscita di R$ 2,23 e la ST (ossia la sostituzione tributaria, che obbliga il venditore a ricevere dal compratore il 25% di un margine di guadagno stabilito dallo stesso Governo: in questo caso il 67,82%, se riuscite a crederci…), che danno in più altri R$ 3,36, portando il nostro vino a R$ 23,17.
Ma ovviamente i distributori, negozi e ristoranti, hanno bisogno di guadagnare e perché possano vendere il vino a un prezzo vicino a quello che l’importatore impone al consumatore finale, l’importatore stabilisce per loro un ulteriore margine del 40%. Ecco che il nostro vino da R$ 3,60 è arrivato a R$ 38,62.
Così il ristorante (che ha pagato R$ 23,17) lo mette in carta a R$ 60,00, solo per arrotondare, perché alla fine, se il vino è economico, tutti pensano che non sia buono, o no?
Riassumendo: i consumatori brasiliani pagano R$ 60,00 + R$ 6,00 di “caixinha”, il servizio, per bere una bottiglia di vino. Si spera almeno se lo siano gustato… Al ristorante sono rimasti R$ 36,83 per aver conservato quella bottiglia di vino a temperatura corretta e averla servita nel bicchiere adeguato. Al Governo sono rimasti R$ 10,65 e all’importatore R$ 8,92 per aver finanziato tutta l’operazione e aver portato sulla sua tavola la bottiglia di vino. Che dire? È il mio Paese e i brasiliani lo trovano divertente…
Dal produttore al consumatore
Fonte: elaborazioni dell’autore
Ma dopo tutto, è un mercato che val la pena di tentare
Detto questo, sperando di non aver spaventato nessuno, il potenziale di questo mercato è enorme e merita un’attenzione che nessuno sembra ancora avergli dato. Il vino è di moda in questo momento, ma ha ancora la vecchia immagine di un prodotto per ricchi. Una cosa ridicola, ma che fa parte di una società nuova, soprattutto “nouveaux-riche”. In qualche modo, è molto importante che sia di moda.
Lo spumante aumenta il triplo degli altri vini, il che contribuisce a far crescere i consumatori e ad aprire la strada al vino bianco, che quasi non si vende in Brasile.
Il potenziale è così grande che basta citare due dati: il settore delle birre “Premium”, che non esisteva fino a pochi anni fa, oggi rappresenta un mercato dieci volte maggiore in termini di litri che il mercato dei vini di qualità. Se pensiamo che i circa 115 milioni di bottiglie di vino di qualità consumate ogni anno in Brasile equivalgono a poco più di 2,2 milioni di persone che bevono una bottiglia di vino alla settimana, è facile capire come questo mercato possa crescere. Esistono oggi in Brasile 30 milioni di famiglie con uno stipendio mensile che permette di consumare una bottiglia di vino alla settimana. Ma perché non lo fanno? Semplice, non c’è la cultura. La cultura è quella della caipirinha e della birra, non del vino.
Quindi, visto che il vino è di moda, perché non approfittare del momento e diffondere tutti i suoi benefici, creando una cultura salutare? Di quale altra bevanda si può dire che faccia bene alla salute, sostenuta da più di 2.000 studi scientifici per i suoi effetti salutari? Il mercato è lì per chi abbia denaro, sia informato e dotato di buona volontà.
Fonte: elaborazioni Corriere Vinicolo su dati Uvibra
L’autore
Granja Eduardo Russo, meglio conosciuto come “Didù”, esperto in business administration, con studi in filosofia, marketing e comunicazione, ha lavorato per diversi media in Brasile, tra cui Headline Review, Gazeta Mercantil, Editora Globo, Editora Abril, TV Record, SBT. Nel 1992 è stato premiato come “Advertiser of the Year” dal Premio Colunistas.
Nel 1999 ha fondato la Confraternita dei Sommeliers (Confraria dos Sommeliers), di cui oggi è vicepresidente: la società riunisce ogni mese i più esperti sommelier di Sao Paulo per degustare e valutare i vini presenti sul mercato, attività che ha permesso a Russo di accreditarsi presso il settore vitivinicolo locale, per il quale ha presenziato a un centinaio di conferenze.
Oggi collabora con diverse testate: 29horas, Revista Gourmet Life, Jornal Vinho & Cia, Prazeres da Mesa, oltre a gestire un blog personale (www.didu.com.br, blogdodidu.zip.net).
Lavora anche in televisione, come direttore e presentatore del programma “Celebre!”.
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