I cambiamenti climatici, la brutta esperienza dell’ultima vendemmia segnata dalla peronospora e la necessità di migliorare l’impatto ambientale delle coltivazioni spingono verso una più forte innovazione in vigna. Il tempo dei Piwi (dal tedesco Pilzwiderstandsfähig), studiati ormai da decenni in tutta Europa, sembra arrivato: agli “ibridi resistenti ai funghi” è dedicata un’inchiesta esclusiva pubblicata sulle pagine de Il Corriere Vinicolo n.35/2023 (a cura di Giulio Somma e Fabio Ciarla)
Sdoganati in vigna, sui Piwi rimangono ancora diverse “resistenze” a livello psicologico che ne impediscono uno sviluppo su larga scala. Il Comitato Vini ha accolto le prime richieste per il loro inserimento nei disciplinai delle IG, ma sembra si punti a valorizzarli in varietali dedicati piuttosto che aggiungerli a blend con uve “tradizionali”.
Sul settimanale la posizione di Unione Italiana Vini attraverso le dichiarazioni del Segretario generale, Paolo Castelletti, e i pareri dei consorzi, per tracciare panoramica dell’innovazione genetica dai vari territori (a cura di Franco Santini). Segue un’indagine sul mercato dei vini Piwi in Italia (a cura di Andrea Guolo) ed il punto sulla questione della genomica in vigna in terra francese (a cura di Christophe Andrieu).
Oggi pensare di inserire i nuovi ibridi resistenti in denominazioni a forte trazione territoriale, magari in blend con vitigni storici, è sicuramente prematuro, per molti significherebbe snaturare la storia dei vini in questione. Più semplice, a mio avviso, pensare a quelle denominazioni che prevedono tipologie monovarietali, alle quali si potrebbero affiancare nuovi vini dedicati ai Piwi più interessanti studiati in questi decenni (Paolo Castelletti, segretario generale UIV).