di Stefano Tesi
Tu chiamalo, se vuoi, Alicante. Oppure Tocai rosso, o Garnacha, o Granaccia , o Gamay del Trasimeno, o Gamay Perugino con un’altra sfilza (almeno una ventina) di nomi regionali o dialettali. Ma sempre dello stesso vitigno si tratterà: di quello cioè che i francesi chiamano e in genere si chiama “Grenache”.
Un vitigno rosso e antico, antichissimo, forse originario dell’Aragona o forse della Sardegna, che però, per la sua versatilità e la sua acclimatabilità, si è diffuso facilmente prima nel bacino del Mediterraneo e poi da qui in tutto il mondo, fino a divenire quello che oggi, anche per la sua vocazione al taglio, è uno dei principali “internazionali” del pianeta: le sue viti si trovano infatti in Algeria, Tunisia, Cipro, Marocco, Australia (area di Perth), California (regione di Chaparral), Messico, Cile (area a sud di Santiago), Argentina, Uruguay e Sud Africa. In Italia, anche in Sicilia e nelle Marche, ove è chiamato “Bordò”.
A fare il punto sullo stato dell’arte del vitigno, la sua vinificazione e gli aspetti tecnici legati alla sua coltivazione è venuta di recente la quinta edizione del Concorso Enologico Internazionale “Grenache du monde” 2017, organizzato per la prima volta in Italia, ad Alghero. Una manifestazione, oggi divenuta itinerante (nel 2018 sarà ospitata in Catalogna, a dimostrazione dell’interesse globale, anche economico, che la varietà ormai è in grado di generare), la quale non solo ha sottoposto al giudizio di una giuria internazionale di oltre cento commissari ben 684 campioni di vino provenienti da 204 aziende tra italiane (di cui ben 103 sarde), francesi, spagnole, macedoni, libanesi, sudafricane e australiane, offrendo un panorama vastissimo sulle tendenze produttive e sulle interpretazioni enologiche del Grenache nei cinque continenti, ma ha portato in cattedra numerosi esperti, che hanno tracciato un profilo approfondito della storia, della ricerca e delle proprietà di quest’uva.
Lasciando un po’ in ombra, però, quelle che – al di là delle pur importanti prospettive emerse soprattutto in chiave promozionale per il rilancio e la valorizzazione del Cannonau, anche come volano per l’intera produzione sarda – sono le tendenze tecnico-economiche di un vitigno che, per le sue caratteristiche intrinseche, trova da tempo ampio spazio nei traffici internazionali di sfuso, come già dimostrato dal giro di affari registrato in occasione del salone di Bulk Wine di Amsterdam del 2015. E che, anche nella sua versione “bianca”, sembra aver le carte in regola per destare l’attenzione commerciale dei grandi brand e di un consumatore sempre più incline ai prodotti individuabili attraverso il vitigno d’origine.
A prescindere dunque dalle complesse questioni di stretta primogenitura, che sembrano difficilmente destinate, almeno a breve, a trovare una soluzione certa (anche se nel proprio nel 2016 tracce di Cannonau risalenti a oltre 3000 anni fa sono state rintracciate in Sardegna, zona dell’Ogliastra), il convegno che ha seguito il concorso ha messo soprattutto in luce come l’analisi genetica di vecchie viti armene abbia rivelato, in laboratorio, una certa vicinanza proprio con le viti di Cannonau, aprendo le ipotesi a comuni origini o almeno congetture su una remota diffusione legata ai traffici commerciali del tempo dei Fenici.
Meno nebuloso, sebbene altrettanto intricato, si è poi rivelato il problema onomastico che ruota attorno al Grenache. Problema a sua volta connesso al precedente per via del fatto che, come ha sottolineato l’interessante relazione di Angelo Costacurta dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, mentre la nozione di “importanza” del vitigno è relativamente recente, molta più importanza in passato veniva attribuita al vino e alla regione da cui esso proveniva, la quale spesso finiva per dare il nome al vino e pertanto al vitigno da cui questo proveniva. Se pertanto è vero che, nel bollettino ampleografico postunitario del 1887 destinato a censire provincia per provincia tutti i vitigni presenti del Regno, si afferma che il Cannonau è presente e che esso corrisponde tipologicamente all’Alicante, è vero anche che il nome Cannonau compare come tale già nel ‘500, sia in Spagna che in Sardegna, ove all’epoca Alghero era soggetta al potere aragonese. Anche in altre parti d’Italia e in Spagna, del resto, il termine Cannonau è non solo già attestata nel XVI secolo, ma con lo stesso nome viene indicato in certi documenti il mosto corrispondente, dato a garanzia di alcuni prestiti finanziari. Ai primo del secolo scorso, ha concluso Costacurta, il vitigno risultava comunque presente in ben sedici provincie italiane.
La superficie totale coltivata a Grenache nel mondo era nel 2012 di circa 380mila ettari, dei quali 250mila in Spagna (Aragona, Castiglia, paese basco e Catalogna), 91mila in Francia (Roussillon, Languedoc, valle del Rodano, Provenza) e circa 8mila in Sardegna. Superfici che tendono a contrarsi in valore assoluto, ma ad allargarsi geograficamente, con l’ampliamento della coltura in paesi extraeuropei.
La cerimonia di consegna delle medaglie del concorso internazionale “Grenache du Monde” è avvenuta presso lo stand della Regione Sardegna all’ultimo Vinitaly, presenti il direttore generale dell’agenzia organizzatrice Laore, Maria Ibba, il direttore del concorso Grenaches du Monde, Yves Zier e l’assessore regionale dell’Agricoltura Pierluigi Caria, che con un “bottino” di 44 medaglie ( 18 ori, 21 argenti e 5 bronzi) si è detto soddisfatto dei risultati ottenuti dai viticoltori sardi.
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