È ancora difficile definire in modo chiaro quali saranno le implicazioni della nuovo politica agricola comune per il settore vitivinicolo. Dopo l’accordo politico raggiunto lo scorso 26 giugno tra Parlamento europeo, Consiglio dei ministri dell’Ue e Commissione europea, le notizie trapelate sono infatti molto frammentarie. L’accordo, inoltre, resta soggetto all’approvazione formale in prima lettura da parte del Consiglio e del Parlamento europeo, che avverrà solo dopo l’ufficializzazione dei testi in tutte le lingue, prevista in autunno. E in ogni caso non tutti i punti sono stati chiusi, perché alcuni restano sospesi all’interno dell’accordo sulle prospettive finanziarie.
Anche con tutte queste limiti, però, le informazioni di cui si dispone sono utili per capire dove il processo di riforma della PAC sta approdando.
Il regime dei diritti d’impianto cede il passo a un sistema di autorizzazioni di impianto
Come previsto dall’attuale OCM, il sistema dei diritti di impianto, nato dall’obbligo di realizzare nuovi impianti, terminerà alla fine del 2015.
In linea con le raccomandazioni formulate lo scorso dicembre dal gruppo di alto livello sul vino, dal 2016 verrà introdotto al suo posto un meccanismo dinamico di gestione delle autorizzazioni di impianto, applicabile fino al 2030, con concessione di diritti di nuovo impianto pari all’1% delle superfici vitate ogni anno. In deroga sarà possibile scegliere una percentuale più bassa (comunque maggiore di zero), ma solo motivando.
I diritti validi potranno essere convertiti nelle autorizzazioni, che, al contrario dei primi, non sono commercializzabili.
Dunque non ci sarà una liberalizzazione, come perorato dalla Commissione europea all’inizio dei lavori sulla riforma, ma una forma di regolazione delle superfici vitate, con una quota di concessione dei diritti comunque contenuta, rispetto alle posizioni emerse nei lavori del trilogo (diversi paesi si erano schierati a favore del 2%).
Felice Assenza, Direttore Generale delle Politiche internazionali e dell’Ue del Mipaaf, in un incontro organizzato lo scorso 10 luglio da Confagricoltura, ha inoltre evidenziato che per gli Stati membri restano ampi margini di scelta nel definire le modalità di implementazione del nuovo sistema, che possono mettere al riparo del rischio di sovrapproduzione o di impianti in terreni non vocati. Ma c’è di più. Per i diritti in portafoglio è prevista la facoltà di estendere il periodo di durata fino a cinque anni, come misura transitoria. Gli Stati membri possono dunque scegliere di mantenere ancora per un po’ l’attuale sistema, rinviando al massimo al 2020 la transizione al nuovo. Intanto – ha sottolineato durante lo stesso incontro Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo – le cose possono cambiare. Nel 2018 è prevista infatti una revisione a medio termine della PAC, che consentirà di rivederne molti aspetti.
Insomma, a quasi quarant’anni dalla sua nascita – venne introdotto come regime transitorio nel 1976, e da allora sempre prorogato – il sistema dei diritti di impianto si estinguerà ma con gradualità, senza salti nel buio, e comunque lasciando il passo a un sistema vincolato.
Promozione: finanziabile anche sul mercato interno
Per quanto riguarda le misure finanziate con il programma nazionale di sostegno del vino, il Presidente della Comagri ha anticipato che la misura della promozione diventerà più flessibile, e potrà essere estesa anche la mercato interno, seppure con alcune correzioni opportune.
Vigneti esclusi dal greening
Tra le novità uscite dal trilogo c’è l’esenzione della viticoltura, e in generale di tutte le coltivazioni permanenti, dal greening. Ma sintetizziamo i termini di una questione che negli ultimi mesi ha suscitato un ampio dibattito. Nella proposta di regolamento dell’ottobre 2011 la Commissione aveva previsto, per l’azienda che riceve il pagamento di base nell’ambito dei pagamenti diretti, l’obbligo di rispettare anche le regole del greening, o inverdimento, che si sostanziano in tre pratiche agricole favorevoli al clima e all’ambiente: la diversificazione colturale, il mantenimento dei prati permanenti e il mantenimento, nell’ambito della superficie aziendale, di aree di interesse ecologico, con destinazioni quali maggese, siepi, terrazzamenti, fasce tampone, elementi caratteristici del paesaggio, imboschimento, ecc.. Ma se nel caso delle prime due regole l’inapplicabilità alla viticoltura era scontata fin dall’inizio, in quanto implicita nella destinazione del terreno (la prima vale solo per le superfici a seminativo e la seconda per i prati), nel caso delle aree di interesse ecologico no. Dunque dalla proposta della Commissione, secondo cui gli agricoltori avrebbero dovuto destinare a queste aree almeno il 7% dei loro ettari ammissibili, si è passati a un accordo che sancisce la riduzione dell’obbligo al 5% (almeno fino al 2017, con possibilità di innalzamento al 7% dopo il 2017) e la sua applicazione alla superficie a seminativo dell’azienda, escludendo di fatto le colture permanenti. (Tra l’altro l’obbligo viene applicato alle aziende con oltre 15 ettari).
Gestione delle crisi
Ma ci sono anche tematiche orizzontali che possono interessare il settore vitivinicolo. Ad esempio, in materia di gestione delle crisi l’accordo di giugno conferma la creazione di nuovi strumenti. Nell’ambito dei programmi di sviluppo rurale potrà essere concesso un sostegno ai fondi di mutualizzazione per il pagamento di erogazioni fino al 70% delle perdite subite, in caso di perdita di reddito del 30%. Lo strumento – destinato ad aiutare gli agricoltori che subiscono un drastico calo di reddito, cautelandoli contro la volatilità dei mercati agricoli – è decisamente innovativo e quindi deve essere ancora messo a punto. (Anche nel programma di sostegno del vino è possibile attivare un sostegno ai fondi di mutualizzazione che assistono i produttori intenzionati ad assicurarsi contro il rischio di fluttuazioni del mercato, ma la misura non è mai stata attivata e comunque consentirebbe di finanziare soltanto, e temporaneamente, le spese amministrative di costituzione dei fondi).
L’accordo di giugno conferma inoltre l’introduzione di nuove clausole di salvaguardia per tutti i settori, per consentire alla Commissione di adottare, in risposta a turbative generali del mercato, misure d’emergenza da finanziare con una riserva di crisi.
Resta, per i produttori, la possibilità di accesso alle misure dello sviluppo rurale, naturalmente nel rispetto delle demarcazioni, che verranno ridefinite in funzione del nuovo elenco di misure previsto. Nello sviluppo rurale verrà mantenuta l’attuale strutturazione degli aiuti: gli Stati membri o le regioni (in Italia le regioni) continueranno ad elaborare programmi pluriennali sulla scorta della gamma di misure disponibili a livello UE, secondo le esigenze delle proprie zone rurali, ma non esisteranno più gli assi (competitività, ambiente, qualità della vita e diversificazione, leader). Piuttosto, le misure verranno ricondotte a priorità specifiche predefinite.
Tra le misure finanziabili quella biologica acquisirà più visibilità, venendo estrapolata dal gruppo delle misure agro-climatiche-ambientali.
Entrata in vigore
Insomma, il quadro è molto complesso e solo i testi definitivi e tradotti consentiranno di chiarirlo in tutte le sue sfaccettature.
In ogni caso il complesso degli elementi della riforma verrà applicato a partire dal 1° gennaio 2015, con l’unica eccezione della nuova struttura di pagamenti diretti, per la quale è previsto uno slittamento al 2015.
Devi essere connesso per inviare un commento.