Si parla tanto di tracciabilità in materia agroalimentare, ma nel campo del vino esiste un metodo scientifico sicuro che ne certifichi composizione e provenienza?
La domanda se l’era posta il Consorzio del Brunello nel 2008, affidando una ricerca a Fulvio Mattivi, coordinatore del dipartimento Qualità alimentare e nutrizione presso la Fondazione Edmund Mach – Istituto di S. Michele all’Adige. Lo studio ha poi dato avvio a tre diverse ricerche effettuate con altrettante metodologie. Se Mattivi ha utilizzato il metodo del profilo antocianico, Rita Vignani, coordinatore scientifico dell’area agronomica di Serge-genomics dell’Università di Siena, ha utilizzato il test del Dna, in collaborazione con la collega Stella Grando di San Michele all’Adige. Infine, Federica Camin, sempre della Fondazione Mach, si è concentrata sulla metodologia basata sull’utilizzo degli isotopi stabili.
I risultati di questo ampio studio sono stati resi noti a fine maggio nel corso di un convegno organizzato dal Consorzio presso il teatro degli Astrusi di Montalcino. Il presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino Fabrizio Bindocci, nel suo saluto in apertura dei lavori, ha parlato di tutela del consumatore ma anche dei produttori del territorio e della volontà da parte delle aziende associate di proseguire sulla strada della ricerca per arrivare alla determinazione della tracciabilità del prodotto.
Dna e isotopi
Vediamo adesso le tre metodologie, a partire da quella basata sul Dna che ha preso avvio dal 2006. I test sul Dna dei vitigni sono in uso da circa 20 anni, e come è noto il Dna della vite è stato sequenziato completamente tra il 2005 e il 2006. Ma quanto Dna della vite resta nel vino? Secondo Vignani assai poco, in realtà, e quello che resta è mescolato e degradato dai vari processi fermentativi. Tuttavia, è possibile – attraverso l’utilizzo di kit commerciali a base di silicio – isolarlo e analizzarlo. Se i vini sono monovarietali, come il caso del Brunello, è evidente che il Dna del vino e quello del vitigno di riferimento presenteranno elementi di riconducibilità. Tuttavia, la ricerca al momento può solo dimostrare la presenza di un dato vitigno in un vino, ma non può dire senza ombra di dubbio se un vino sia un monovitigno al 100%. Sempre a proposito di Dna, Stella Grando ha riferito come sia più facile analizzare un mosto, perché con l’invecchiamento all’interno del vino si formano molecole nuove e il Dna originario diminuisce progressivamente. Per i vini al massimo si può dunque parlare di autenticazione, una volta verificata la presenza di un Dna riconducibile al vitigno ammesso dalla denominazione.
Le analisi basate sugli isotopi stabili sono invece in uso da anni nel campo della repressione delle frodi, e dal 1990 sono utilizzate per cercare tracce di eventuali zuccheraggi o aggiunte di acqua. Col tempo tuttavia si è capito che queste analisi possono dire anche qualcosa sull’origine del vino. Camin infatti ha illustrato come i fattori di variabilità degli isotopi dipendano dal clima, dal periodo di raccolta e dall’origine geografica, perché l’acqua di falda assorbita dalla pianta varia con la latitudine, l’altitudine e la distanza dal mare. Dunque la ricerca condotta per conto del Consorzio ha dimostrato come sia possibile risalire all’origine di un vino anche nel caso questo sia prodotto in zone assai ristrette come è quello del territorio di Montalcino.
La ricerca per antociani
E veniamo adesso alla ricerca condotta da Mattivi, basata sui pigmenti antociani delle uve, che sono utilizzati da anni per individuare e classificare i vitigni. Anche in questo caso si è trattato di spostare l’attenzione dal vitigno al vino, ma esattamente come avviene per il Dna, anche il profilo antocianico muta con l’invecchiamento perché i pigmenti reagiscono con gli altri componenti. In effetti prima di questo studio la ricerca per antociani era ritenuta affidabile soltanto per i vini giovani, con non più di sei mesi di invecchiamento. La prima parte della ricerca è stata dunque dedicata all’individuazione di un metodo di valutazione degli antociani del Brunello. Sono state così individuate oltre 90 componenti, delle quali 17 sono state ritenute utili ai fini dell’individuazione del prodotto e della sua tracciabilità. I 92 pigmenti antocianici che si formano nel Brunello nel corso dell’invecchiamento hanno dimostrato di avere una correlazione statisticamente significativa con quelli che si ritrovano nell’uva.
E’ chiaro che il lavoro deve andare avanti, perché ancora non si sono trovate tutte le risposte, ma la ricerca per mezzo dei pigmenti antocianici allo stato attuale appare quella capace di offrire maggiori garanzie.
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