Giovanni Busi è appena stato riconfermato alla guida del Consorzio Vino Chianti e con lui facciamo un bilancio di quanto fatto nei primi tre anni del suo mandato e di quanto conta di fare nei prossimi tre del secondo mandato.
- Presidente, quanto è cambiata la percezione del Chianti sui mercati negli ultimi tre anni?
“Direi moltissimo. Prima era un semplice vino sullo scaffale e oggi è diventato la denominazione che più rappresenta l’Italia nel mondo.”
- A cosa imputa questo successo ottenuto per altro in tempi relativamente brevi?
“Sostanzialmente a due fattori. Il primo naturalmente è il prezzo, che ha giocato ampiamente a nostro favore. Il secondo invece è l’evoluzione del mercato, che sempre più oggi cerca vini freschi e piacevoli, morbidi ma con una buona sapidità in bocca che aiuta a mangiare. Vini bevibili, insomma, esattamente come è il Sangiovese. E proprio su questa bevibilità è stata impostata tutta la nostra opera di comunicazione.”
- Torniamo sulla questione prezzi. A che punto erano quando è diventato presidente?
“Il prezzo ha rappresentato un fattore sia positivo che negativo. Nel 2010, agli inizi del mio mandato, lo sfuso andava intorno ai 60-70 euro a ettolitro, il che significava per le aziende una perdita notevole. In pratica le cantine vendevano sottocosto. La prima operazione fatta è stata quella di ridurre le giacenze, e le vendite hanno permesso si innalzare le produzioni che in 2 anni (dal 2010 al 2011) sono passate da 690.000 ettolitri a 800.000. Si è così creato un circolo virtuoso: alla promozione fatta dal Consorzio ha corrisposto una maggiore presenza e visibilità delle bottiglie sugli scaffali, che ha chiaramente risvegliato interesse. Siamo così arrivati alla vendemmia 2012 con prezzi già saliti ai 110-120 euro per ettolitro, ma la scarsa produzione della scorsa vendemmia (che ha prodotto 675.000 ettolitri) ha comportato un ulteriore innalzamento dei prezzi fino agli attuali 130-150 euro. Adesso le aziende non sono più in perdita, e nonostante l’innalzamento dei prezzi sugli scaffali le vendite hanno tenuto.”
- Prevede ulteriori innalzamenti nel prezzo dello sfuso?
“Noi in realtà dobbiamo smettere di avere le oscillazioni nei prezzi che abbiamo vissuto fino a ora. Il prezzo deve rimanere il più possibile stabile mantenendosi a livello proficui per le aziende.”
- Ci sono degli obiettivi che si era prefisso per il suo primo mandato e che non sono ancora stati raggiunti?
“La parte finanziaria. Non siamo ancora riusciti a trovare delle banche per poter far entrare denaro nelle aziende per i necessari investimenti. Le banche non hanno dimostrato volontà nel consolidamento dei debiti, e con i fondi europei che hanno preso si sono limitati a salvare lo Stato ma non certo le aziende. Ma noi continuiamo a lavorare in questa direzione con il preciso scopo di trovare un gruppo di banche interessate a investire nel settore vino a 360 gradi. La Regione ci sta supportando in questa operazione, e io confido che si arrivi a un esito positivo.”
- In effetti voi avete lavorato molto con la Regione, e l’assessore Salvadori ha dimostrato grande sensibilità nei confronti della denominazione.
“Sì, in effetti è proprio grazie alla collaborazione con l’assessore che siamo riusciti a far innalzare il contributo per il rimpianto dei vigneti da 9.300 a 12.350 euro a ettaro. Con il risultato che per il 2013 le richieste di contributi per il reimpianto sono salite di circa 3,4 milioni di euro rispetto all’anno precedente.”
- Quali sono i prossimi obiettivi su cui lavorare?
“Prima di tutto la richiesta di modifica del disciplinare, attualmente al vaglio della Regione Toscana. Intendiamo innalzare la produzione dagli attuali 90 ai 110 quintali per ettaro. Ma desidero spiegare bene la questione per non essere frainteso. A oggi, il massimo di uva per pianta per i nuovi impianti è 3 chili, ma questi vigneti arrivano fino a 5.000 ceppi per ettaro. Non è dunque più possibile per i nuovi vigneti – e sottolineo solo quelli nuovi con oltre 4.000 piante per ettaro – restare bloccati a una produzione di 90 quintali di uva a ettaro. Per i vigneti vecchi, invece, abbiamo chiesto di ridurre il massimo di uve a pianta da 5 a 3 chili e questo è un indubbio incentivo a reimpiantare. Poi c’è l’obiettivo di mantenere in equilibrio economico le aziende e di impedire ulteriori sbalzi di prezzo dello sfuso, sia verso il basso che verso l’alto. Il Consorzio ha degli strumenti per far sì che il prodotto non manchi sui mercati e non si creino fenomeni strani. In caso di carenza di Chianti sui mercati possiamo per esempio utilizzare lo strumento dell’anticipo dell’immissione del vino in commercio e in caso contrario invece posticiparne l’uscita. In altre parole, dobbiamo iniziare a usare il disciplinare come strumento di mercato.”
- Parlando di mercati, c’è qualche positiva novità per il Chianti?
“Una arriva dalla Russia, dove il Chianti è sinonimo di vino italiano per eccellenza. Qui stanno aprendo molte pizzerie, dove il binomio pizza-Chianti è una realtà come da noi pizza e birra. Certo che dobbiamo continuare a lavorare per entrare in nuovi mercati, anche in previsione dell’innalzamento della produzione che si verificherà con il cambiamento del disciplinare e il reimpianto dei vigneti. Le stime parlano di 300.000 ettolitri in più, e quindi c’è molto da lavorare sia sui mercati abituali che su quelli nuovi.”
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