Poco più di 750 milioni di bottiglie, di cui oltre 600 milioni a denominazione di origine, con una propensione all’export di oltre il 70%. Da una parte il gigante Prosecco, che da solo fa oltre la metà del totale e i due terzi delle Do-Ig, e all’estremo opposto l’80% di denominazioni che non superano i 2.000 ettolitri di imbottigliato, per un quantitativo che rappresenta solo l’1% del totale. Una produzione fondamentalmente sbilanciata sui bianchi, con solo il 4% del totale in rosa (dove giganteggia ancora il Prosecco, con i suoi 17 milioni di bottiglie) e numeri ancor più piccoli per i rossi, concentrati per lo più in piccoli areali e in denominazioni “bandiera”.
L’utilizzo di una varietà enorme di vitigni: oltre alla Glera, mattone dei Prosecchi veneti e friulani, e agli internazionali, come Chardonnay e Pinot nero, cocktail di base per i metodo classico, sono piccoli-grandi protagonisti i vitigni locali, come Lambruschi, Trebbiani, Moscati, Falanghine, Grechetti, Malvasie, Grillo, Nero d’Avola, Negroamaro e Vermentini. Una dimostrazione inequivocabile che la “febbre da spumante”, accesa dal successo planetario del Prosecco, ha contagiato tutto lo Stivale, spingendo moltissimi territori a cercare (o creare ex novo) la propria vocazione alle bollicine.
Questa in sintesi la fotografia dello spumante italiano, resa possibile grazie all’elaborazione dei dati che l’Osservatorio del Vino UIV ha ricavato presso gli organismi di certificazione italiani, enti preziosissimi non solo per la loro quotidiana attività di controllo delle produzioni, ma anche per la certosina opera di catalogazione e riordino di dati che rivelano – una volta saldati insieme – la potenzialità di uno strumento straordinario a disposizione di tutto il settore.
Sul Corriere Vinicolo n. 16, in uscita il 3 maggio, la nona edizione del “Dossier Spumanti”, con tutti i dati di dettaglio di questa tipologia, un focus speciale sugli spumanti rosati, un microcosmo di grande valore, e le analisi delle performance in Italia e all’estero.