di Giulio Somma
Commercio estero, Expo, promozione, Piano nazionale di sostegno e, ancora, riforma del Titolo V della Costituzione, perdita del potenziale viticolo, Testo unico, nuovi rapporti di filiera… Con Domenico Zonin passiamo in rassegna le grandi questioni sulle quali ha lavorato, insieme al Consiglio nazionale, in questo suo primo anno alla guida dell’Unione Italiana Vini. Un dialogo serrato, dal quale emerge con chiarezza un’Associazione rinnovata, più moderna e capace di incidere nella politica del settore, forte di una nuova coralità – tra e con i consiglieri – che rafforza il suo livello di rappresentanza del mondo imprenditoriale vitivinicolo.
Presidente, lei fa parte della cosiddetta generazione dei “quarantenni al potere”, termine coniato per i Letta, i Renzi ma che ben si adatta alla situazione di UIV. Come si ritrova in questa definizione al governo dell’associazione più rappresentativa della filiera vitivinicola italiana che, al di là del riferimento anagrafico, tende a sottolineare un modo nuovo e diverso di gestire la politica?
Essere presidente dell’Unione Italiana Vini è certamente un ruolo di grande responsabilità dove una maggiore esperienza, che porta con sé l’età, può aiutare. Ma sono convinto che sia altrettanto prezioso l’entusiasmo, così come la voglia di mettersi in gioco e una mentalità – tipica della mia generazione – più aperta al lavoro di gruppo, meno autoreferenziale, e più focalizzata ai risultati che non al protagonismo.
Presidenza Zonin, un anno dopo. Tempo di bilanci, parziali, e di programmi, urgenti. Iniziamo dal bilancio. Un anno fa, quando viene eletto presidente dell’Unione Italiana Vini, l’Associazione era diversa, il ruolo e il peso dell’organizzazione erano differenti, e il quadro nel quale si muovevano la politica e l’economia vitivinicola italiana accennava a criticità che oggi stanno esplodendo. Come valuta questo periodo?
Il bilancio è positivo. Il programma che abbiamo definito lo scorso anno insieme al nuovo Consiglio sta andando avanti come previsto. Ci siamo posti l’obiettivo di riorganizzare in modo più efficiente la struttura interna dell’Associazione, partendo dagli statuti che hanno restituito una nuova centralità al Consiglio Nazionale. Abbiamo rinnovato la compagine consiliare, dandole maggiore forza, attraverso il coinvolgimento attivo di tutti i consiglieri che hanno, oggi, un ruolo attivo nella vita associativa. Uno dei punti qualificanti del nostro programma era superare il verticismo a favore dell’allargamento reale della gestione politica dell’Associazione a tutti i membri del Consiglio, che oggi vede presenti tutte le principali aziende del settore. Eravamo, e siamo, convinti che la partecipazione attiva dei rappresentanti consiliari arricchisce e rafforza l’Associazione sia perché facilita la presentazione di istanze concrete che provengono dal mondo delle imprese, sia perché moltiplica la capacità di analisi critica ed elaborazione di proposte. E i risultati ci stanno dando ragione.
E in termini di programmi futuri? Quali saranno i punti qualificanti della prossima azione di Unione Italiana Vini?
Innanzitutto, tenere alta l’attenzione sull’attualità così da esprimere – e utilizzare – al meglio quella nuova capacità propositiva e di analisi che abbiamo sviluppato e di cui ho parlato prima. Guardando, invece, al quadro attuale, sono tre le direttrici lungo le quali svilupperemo la nostra azione. L’export e la promozione sui mercati internazionali, data l’estrema rilevanza di questa voce nella bilancia commerciale del vino ed in genere dell’agroalimentare “made in italy”; lo sviluppo di una maggior collaborazione tra le organizzazioni della filiera e, infine, la ricerca scientifica che deve ripartire dalle istanze delle imprese.
Iniziamo con l’export, tema sul quale l’Unione Italiana Vini ha organizzato un incontro importante al Vinitaly: 5 miliardi di euro il record in valore dell’export nel 2013 per oltre il 50% della produzione esportata, sono dati significativi che si scontrano con il problema delle barriere “non tariffarie e non doganali”, che rappresentano oggi, lo ha denunciato pure il CEEV a livello europeo, un freno inaccettabile all’export vitivinicolo del Vecchio continente e italiano.
Dati molto rilevanti, certamente, soprattutto se si confrontano con un mercato interno che continua, seppur di poco, a contrarsi. E vista l’importanza economica e strategica delle esportazioni per i nostri bilanci, abbiamo intensificato il lavoro in questa direzione. È stato costituito un tavolo tecnico con gli export manager delle aziende per monitorare le criticità dei mercati, così da metterci in condizione di valutare, assieme al CEEV, le azioni da intraprendere presso la UE per risolvere questi problemi. La filiera deve essere cosciente che il futuro del vino italiano sta nell’export e, quindi, lavorare per sollecitare il Governo e Bruxelles ad adottare atteggiamenti negoziali, nei confronti degli altri Stati, che favoriscano il nostro export, valorizzando il ruolo del vino italiano come ambasciatore del “made in Italy” evitando di sacrificarlo a favore di altri comparti del manifatturiero. E siamo lieti di aver trovato nel presidente del CEEV, Jean-Marie Barillère, e nel segretario generale, José Ramon Fernandez, alleati preziosi.
Invece, con il ministero per lo Sviluppo economico ed il rinnovato Ice?
Abbiamo rafforzato e migliorato i rapporti con il Mise, trovando nel viceministro Carlo Calenda un interlocutore attento, intelligente e, soprattutto, molto concreto, mentre si sta inaugurando una diversa stagione di relazioni con il rinnovato Istituto per il commercio con l’estero. Il presidente, Riccardo Maria Monti, intervenuto a un nostro Consiglio nazionale, ci ha proposto l’istituzione di un canale stabile di collegamento e coordinamento: è un invito che accoglieremo subito perché segna un modo nuovo e diverso di lavorare che ci convince. Il Mise ha le risorse, l’Ice le strutture, a noi spetta il compito di mettere in campo idee e progetti perché la promozione all’estero deve essere progettata e guidata dalle imprese. E abbiamo trovato sia Calenda che Monti d’accordo su questa strategia.
La seconda direttrice cui lei accennava riguarda la filiera. Il peso politico di UIV e le relazioni tra le organizzazioni stanno cambiando. L’elaborazione e l’esperienza della presentazione del TU in Parlamento, la prima riunione dei presidenti nazionali delle organizzazioni della filiera sui temi della vitivinicoltura sono segnali, di cosa?
Una delle prime cose che ho rilevato, all’inizio del mio mandato da presidente, è stata la scarsa collaborazione tra le associazioni della filiera, una lontananza che, però, non originava tanto da differenti visioni dei problemi quanto dalla scarsa dimestichezza all’incontro e al dialogo. Era un vuoto che andava assolutamente colmato e, in questo senso, il lavoro sinergico portato avanti sul “Testo Unico della vite e del vino” ci ha offerto una preziosa opportunità che, ritengo, ci siamo giocati al meglio. La grande disponibilità e attenzione dimostrata dai presidenti delle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato, l’onorevole Luca Sani e il senatore Roberto Formigoni, al di la del merito del Testo Unico – che rappresenta una “svolta epocale”, come abbiamo detto – ha certamente aiutato a rinsaldare le relazioni nella filiera. Tant’è che, qualche settimana dopo, siamo arrivati alla prima riunione formale dei presidenti nazionali delle organizzazioni di rappresentanza che costituiscono la filiera vitivinicola italiana. Un altro “passaggio storico” che lavoreremo per rendere strutturale, istituzionale, suggellando quindi una nuova metodologia di lavoro più corale e che sicuramente aumenterà il peso e l’autorevolezza della filiera nell’indirizzare le decisioni di politica vitivinicola.
Terzo elemento la ricerca scientifica che, purtroppo, nel nostro Paese soffre di risorse pubbliche insufficienti, frammentate e spesso destinate ad enti di dubbia utilità, con ricercatori impegnati su tematiche lontane dal mondo produttivo e dinamiche di accesso ai fondi pubblici che non premiamo virtuosismo o efficacia delle ricerche. Tutti elementi di debolezza strutturale le cui ricadute – di mancato sviluppo – gravano su un sistema imprenditoriale e produttivo, invece, dinamico, in crescita, e che ha estremo bisogno del supporto scientifico e tecnologico.
Sì, un quadro dove dobbiamo trovare un nuovo protagonismo imprenditoriale sia nel modo di “fare ricerca” sia nel peso che la realtà produttiva deve avere nell’orientare gli obiettivi della ricerca perché l’innovazione è una delle armi più efficaci nella sfida competitiva globale. L’esaurimento delle risorse pubbliche destinate alle Università sta costringendo il sistema scientifico e accademico italiano ad acquisire una nuova cultura manageriale e “imprenditoriale“. La necessità di attingere sempre più a risorse europee, attraverso progetti credibili e in grado di attirare partner pubblici e privati, ha accelerato lo sviluppo di un nuovo rapporto tra impresa e università, economia reale e progetti di ricerca. In questa delicata fase di cambiamento, che ci auguriamo strutturale, la nostra Associazione ha voluto scommettere, lanciando una sfida che inciderà sulla capacità del sistema vino italiano di sviluppare nuovi livelli di competitività globale: aggregare il sistema vitivinicolo italiano in una partnership con il network di tutte le Università e i Centri di ricerca del Paese, senza mediazioni burocratiche o politiche, per avviare un progetto ad ampio raggio sulle tematiche attuali ed urgenti della filiera vite-vino. Le università italiane, coordinate dal prof. Attilio Scienza, hanno accolto la sfida. Da parte nostra – aziende agricole, cantine, vivai specializzati – siamo tutti coinvolti in una nuova progettualità dove i finanziamenti comunitari, nazionali e regionali saranno finalmente convogliati in un unico grande plafond grazie al quale, i nostri centri di eccellenza nella ricerca, potranno applicarsi sui temi che noi imprese metteremo al centro della loro indagine.
E, poi, guardando al futuro, c’è l’Expo. Il ministro Maurizio Martina ha rimesso in moto una macchina che deve viaggiare velocemente…
Sì, perché siamo in gravissimo ritardo. Speriamo che, anche questa volta, ci salvi lo “spirito italico” abituato a fare le cose in fretta e furia all’ultimo minuto. La partita è molto, troppo, importante per sbagliarla. Abbiamo apprezzato la concretezza del ministro Martina, ma adesso il progetto va finalizzato su quattro principi cardine. Il primo è lo spazio: deve essere focalizzato sul vino, senza commistioni con altri prodotti, per testimoniare al visitatore l’importanza della “punta di diamante del nostro export agroalimentare”. Abbiamo un mondo da raccontare. Poi, l’ampiezza di questo spazio, che deve essere capiente per illustrare la complessa e ricca “esperienza vitivinicola italiana” come l’ha felicemente battezzata il ministro. Terzo elemento, i professionisti incaricati di allestire e gestire lo spazio: il mondo del vino ha peculiarità, caratteristiche e dinamiche che vanno conosciute per poterle utilizzare al meglio. Che la scelta si orienti verso chi ha già esperienza nella gestione di attività ed eventi promozionali nel vino. Infine, ultimo ma primo, il coinvolgimento degli attori del vino, la filiera, che deve essere protagonista, fin dall’inizio, nel progetto e poi nella gestione dei sei mesi di esposizione.
Passiamo adesso alle principali criticità della vitivinicoltura italiana. La perdita del potenziale viticolo…
È forse quella che ci preoccupa maggiormente. Il cambio del sistema, dai “diritti” alle “autorizzazioni”, si sta dimostrando un passaggio rischiosissimo per il futuro della nostra vitivinicoltura. Perderemo vigneti, per abbandono, senza poterli recuperare in quelle aree, premiate dalla richiesta di mercato, dove avremmo bisogno di produrre di più. Così non solo diminuisce il potenziale produttivo nazionale – ipotecando il nostro primato mondiale – ma si perdono quote di mercato a favore di competitor di altri Paesi. La rigidità di questo sistema è inaccettabile. Va bene il ridimensionamento “fisiologico” del “vigneto Italia” cui abbiamo assistito in questi anni dovuto al ricambio generazionale in agricoltura , al mutamento degli stili di consumo, del mercato globale ecc. ma non ci potremmo mai perdonare una “perdita” di potenziale produttivo per nostri errori o disattenzioni. In gioco c’è, veramente, la partita mondiale del vino italiano.
… e poi il tema della promozione, delle misure del Piano nazionale di sostegno, della gestione delle autorizzazioni e delle misure europee, in una parola la riforma del titolo V …
La politica in passato ha creduto che, attribuendo maggiori poteri e funzioni alle Regioni anche in tema agricolo, si sarebbero rese le decisioni più agili, snelle e vicine alle istanze territoriali. L’obiettivo è totalmente fallito: oggi abbiamo 20 ministeri, invece che uno, 20 politiche, strategie, regolamenti e capacità decisionali diverse. Senza contare, poi, le battaglie tra Roma e le Regioni dove a rimetterci sono sempre le imprese. È decisamente ora di voltare pagina.
Infine, uno sguardo all’interno dell’organizzazione, perché un nuovo peso politico nella filiera, il confronto con tematiche importanti e obiettivi ambiziosi, implica un impegno anche di carattere organizzativo che mette alla prova i meccanismi a livello di rappresentanza che di staff. Insieme al nuovo Consiglio avete promosso una riforma del vostro modo di lavorare, costruita sui tavoli di lavoro: come valuta questa esperienza?
È stata un’ottima idea che ha sortito due importanti risultati. Da un lato, avvicinare le aziende e i Consiglieri alla vita dell’Associazione, coinvolgerli nelle decisioni e nella politica associativa, quindi arricchire la nostra elaborazione del pensiero e dell’esperienza di tutti. Dall’altro, organizzare i lavori del Consiglio in strutture piccole e agili, capaci di produrre, in tempi brevi, analisi critiche approfondite ed elaborazione di proposte. Ormai, i tempi dell’attualità sono veloci ed una organizzazione che voglia incidere deve essere capace di risposte tempestive. La politica italiana ed europea non aspetta i nostri tempi: siamo noi a dover anticipare con le nostre proposte gli orientamenti della politica.
Tra le novità più significative del programma che avete varato lo scorso anno c’è il marketing associativo.
Sì, che non interpretiamo solo come proselitismo, quanto come funzione per rafforzare il radicamento e l’organizzazione territoriale che accresca la capacità di rappresentanza e il peso politico dell’Unione Italiana Vini. Avrà un ruolo crescente nell’Associazione, perché dovrà orientare tutta una serie di scelte organizzative indirizzandole a potenziare le forme di comunicazione tra aziende ed Associazione per interpretare meglio le istanze del mondo imprenditoriale e dei diversi territori. Noi vogliano una Unione Vini in grado di rappresentare istanze e problemi nazionali ma anche locali, una Associazione che sia accreditata preso le Istituzioni italiane ed europee ma sia anche“sentita” sui tanti territori del “vigneto Italia”.
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