Le industrie vitivinicole di tutto il mondo, da oltre cent’anni, cercano e mettono in atto iniziativi diverse e spesso efficaci di riuso e quindi di valorizzazione dei sottoprodotti delle loro lavorazioni di vigneto e in cantina. In Italia troviamo già alla fine del XIX secolo una significativa esperienza in questo senso: a Milano nacque nel 1899 la società Enotartrica per le lavorazioni delle fecce di vino, fondata in seno all’Unione Lombarda fra commercianti di vino (prima denominazione dei quel sodalizio che oggi conosciamo come Unione Italiana Vini) e che aveva come attività la produzione di acido tartarico. Qualche decennio più tardi, alla fine degli anni Venti, a Modena, venne invece costruito uno stabilimento cooperativo per l’utilizzazione delle vinacce, dalla cui trasformazione erano prodotti alcol extra neutro, tartaro di calcio, olio di vinaccioli, olio di fusel, pannelli combustibili e pannelli per mangimi.
Molti sono gli esempi, anche più recenti ed internazionali di riuso dei sottoprodotti enologici e che oggi più che mai hanno un fine di sostenibilità oltre che di business.
Ultimo di cui si ha notizia – lo si legge in un comunicato stampa dello scorso 18 maggio – nasce dalla collaborazione tra Swisse Wellness (società che produce integratori alimentari), il centro di ricerca australiano Fight Food Waste Cooperative Research Centre (CRC) e la Swinburne University of Technology. L’iniziativa, di cui è project leader il professor Enzo Palombo, afferente alla citata università, mira alla produzione di estratto di vinaccioli a partire dagli scarti di lavorazione di alcune cantine delle regioni vinicole di Yarra Valley, Mornington Peninsula e Bellarine Peninsula. La prima “estrazione” arriverà dalla lavorazione di circa 250 tonnellate di vinacce d’uva proveniente dall’ultima vendemmia australiana; l’estratto verrà quindi utilizzato da Swisse Wellness per la produzione di integratori alimentari.
FEB