di Francesco E. Benatti
Quando si parla di esportazioni di vino in Asia si finisce, quasi sempre, di parlare solo delle quattro destinazioni più importanti, Cina, Hong Kong, Giappone e Corea del Sud. Vero è che qui si registrano i volumi e i valori maggiori e – forse – le più consistenti opportunità per i nostri produttori. Vi è però qualcuno che – chiamatela scommessa culturale – ci sta provando anche altrove. Certo di tratta di volumi modesti e di percentuali ancora più piccole nelle quote esportazione ma di esperienze che vale la pena di raccontare.
L’idea dell’intervista che segue è nata durante lo scorso Vinitaly, quando dopo aver chiesto a Sabrina Tedeschi (Agricola F.lli Tedeschi) di parlarci delle destinazioni dei suoi vini, abbiamo avuto una risposta inaspettata, centrata non tanto sui dati relativi ai principali Paesi di esportazione dell’azienda (Europa, Canada e Stati Uniti – all’estero va l’85% dei vini prodotti dall’azienda), quanto su di un appassionato racconto del progetto di portare i vini della Valpolicella a consumatori molto lontani nello spazio e nella cultura. Sabrina Tedeschi ci ha parlato di Israele e di Dubai, ma anche di Nepal, Tailandia, Malesia, Filippine e di Singapore.
Quali sono le vostre destinazioni mediorientali? Quando e come nasce l’idea portare i vini della Valpolicella in quest’area?
Siamo presenti da tempo in Israele, mentre stiamo iniziando a Dubai, grazie ad un incontro fatto durante Vinitaly. La nostra idea è di avere in questi paesi una distribuzione capillare, chiaro che alcuni mercati risultano avere una cultura verso il vino diversa da altri, ecco quindi giustificato un diverso quantitativo di vino esportato.
In Israele vi è un’antica e radicata cultura del vino, chi sono i consumatori dei vostri vini?
E’ uno dei mercati mediorientali storici per la nostra realtà. Negli anni abbiamo cambiato importatore e quello attuale è anche produttore di vino. I nostri vini non sono certificati kasher ma Israele è un Paese molto vivace. In particolare a Tel Aviv i locali sono sempre molto affollati e la gente ama bere i vini, non solo israeliani. Il vino italiano è molto popolare e la nostra è una denominazione abbastanza nota all’appassionato di quel paese.
Tra le vostre destinazioni ci sono anche paesi arabi di cultura musulmana
Stiamo iniziando ora con i paesi arabi, sicuramente la destinazione sarà il canale della ristorazione e hotel, quindi i vini saranno destinati a consumatori non di cultura musulmana.
Passando al sud est asiatico, secondo i vostri riscontri, qual è l’idea di vino in questi paesi e l’immagine del vino italiano?
In questa zona noi siamo distribuiti a Singapore, Tailandia, Malesia, Filippine, Nepal. In Tailandia siamo presenti da più anni e lavoriamo con uno dei più importanti importatori di vini italiani, che ci distribuisce anche in Nepal. La destinazione è la ristorazione italiana, ma non solo, legata agli hotel internazionali. La clientela è internazionale, ci sono tailandesi, cinesi e asiatici, oltre agli europei e americani.
Quando organizziamo wine maker dinner possiamo avere ospiti di molte nazioni e questo rende l’evento ancora più interessante. Singapore è pure un mercato importante. La Malesia è sicuramente un buon mercato, ma qui abbiamo una maggior presenza di musulmani e quindi il consumo è più ridotto. Il mercato delle Filippine è per noi relativamente nuovo e per quanto mi è stato possibile vedere, la ristorazione e il turismo non sono sviluppati come negli altri paesi menzionati. Stiamo iniziando a lavorare in Vietnam e speriamo a breve anche a Taiwan.
Sicuramente in questi paesi la problematica maggiore è la tassazione: i vini arrivano sugli scaffali o nelle carte dei ristoranti a prezzi molto importanti anche per vini semplici. Per riuscire a diversificare la clientela e per riuscire a far conoscere meglio i nostri prodotti, è importante che i nostri vini trovino un giusto abbinamento anche con le cucine locali.
Il concetto di territorio quale elemento su cui si fonda l’identità di un produttore è uno dei cardini della vostra filosofia aziendale, credete che ciò possa essere un valore anche per la promozione della cultura del vino in paesi così lontani?
Direi che è fondamentale. Il vino deve parlare del territorio di provenienza, deve prima di tutto emozionare. Quando presentiamo un nostro prodotto diventiamo anche “operatori turistici”, parliamo di Verona, di Venezia ma anche dei territori limitrofi. Le nostre presentazioni sono ricche di fotografie del territorio e dei vigneti, a chi ascolta i nostri racconti sembra di viaggiare con noi.
E’ chiaro che si deve supportare poi il racconto con informazioni in merito alle ricerche scientifiche fatte in azienda e anche questo attrae il consumatore, perché innovarsi nella tradizione è fondamentale per rimanere al passo con il mercato e le richieste dei consumatori.
Una leva importante è poi comunicare la famiglia e come la nostra famiglia opera nel business. Una cultura anche questa tipicamente italiana e meno asiatica. Oggi inoltre c’è sempre più attenzione anche alla salvaguardia del territorio: quindi anche il racconto di cosa fa l’azienda in ambito di sostenibilità ambientale suscita interesse e partecipazione.
Quali sono nel complesso gli strumenti più efficaci per la promozione e la diffusione del vino italiano in paesi così lontani?
Visitare i mercati per conoscere meglio le loro richieste e soprattutto farci conoscere personalmente. Ma l’individualità rallenta molto l’ingresso in questi mercati più lontani dalla cultura del vino: bisogna lavorare (o meglio bisognava lavorare) come sistema Paese per far conoscere il territorio, quindi sarebbe opportuno muoversi anche come reti di impresa o come gruppi di produttori rappresentativi della zona per dare maggiore enfasi alla comunicazione di un territorio e del proprio prodotto.
Bisogna ovviamente affidarsi a persone competenti del territorio per riuscire a rendere proficua ogni visita fatta. Per la nostra esperienza. avere dei mercati importanti e buoni punteggi sulle riviste internazionali aiuta a penetrare in mercati così lontani: in questo modo l’azienda viene riconosciuta come brand di successo e sicuramente questo è il primo approccio da parte loro. Ovviamente poi per sviluppare bene il mercato servono costanza nella qualità del prodotto e buona organizzazione aziendale che faccia da supporto alle operazioni commerciali. Un po’ come succede comunque anche nei mercati più tradizionali. Insomma ci dobbiamo mettere la nostra faccia!
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