Gli scienziati si dividono sulla teoria del Global warming, secondo la quale la Terra starebbe andando verso un innalzamento delle temperature che, nel lungo periodo, avrà un grande impatto sulla vita dell’ecosistema: alcuni dicono che esiste ed è dovuto principalmente alle attività umane, altri dicono che non è in atto questo mutamento epocale, o che perlomeno non è dovuto all’uomo. Il Corriere Vinicolo non entra nel merito di questa diatriba, però osservando da molti anni il mondo della viticoltura e del vino deve ammettere che qualche segnale di cambiamento climatico in questo campo lo si è già avvertito: anticipi delle vendemmie, necessità di spostamenti a quote più alte e fresche, carenza d’acqua e siccità, arrivo di nuovi parassiti. Che, guarda caso, è proprio ciò che i sostenitori del Global warming preannunciano da tempo. Per questo motivo, nel numero 35, il giornale si addentra in un’inchiesta in cui ha selezionato gli studi più importanti che analizzano i legami tra la teoria del riscaldamento globale e la viticoltura, che disegnano alcuni scenari di medio, lungo e lunghissimo termine circa le sfide cui andrà incontro l’agricoltura in generale, e la coltivazione della vite in particolare.
Il Programma ambientale delle Nazioni Unite studia il fenomeno fin dal 1988, con l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc): nell’ultimo rapporto, pubblicato tra il 2013 e il 2014, si leggono indicazioni su quanto si dovrebbe fare per ridurre il fenomeno, ma anche su come adattarsi a esso, visto che anche se smettessimo oggi di rilasciare nell’atmosfera anidride carbonica, uno dei tanti fattori climalteranti, ci vorrebbero decenni prima di tornare al clima preindustriale, quello originario, che in poco più di un secolo è così cambiato.
Michelle Renée Mozell e Liz Thach, due studiose del Wine Business Institute della Sonoma State University, hanno passato in rassegna praticamente tutta la letteratura prodotta nell’ultimo decennio sulle conseguenze dei cambiamenti climatici sull’industria del vino, pubblicando nel 2014 alcune riflessioni significative: l’aumento delle temperature avrà un effetto su tutta l’agricoltura, ma alcune colture sono più sensibili, come per esempio le varietà di uva da vino di qualità. In pratica, col riscaldamento delle zone geografiche più vicine ai poli, si potrà avere uno spostamento verso nord (o verso sud, nell’emisfero australe) delle aree più vocate alla viticoltura. Lo studio si sbilancia anche a fare qualche previsione allarmante: per esempio, si ipotizza che entro il 2100 gli Stati Uniti perderanno l’81% della superficie ideale per la coltura di varietà di alta qualità. Nell’articolo integrale si trova una mappa che illustra come potrà avvenire questo dislocamento verso i poli, da qui al 2050, pubblicata nel 2013 dai Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America).
Mozell e Thach scendono nel dettaglio dei possibili scenari futuri delle aree vinicole europee e italiane, con necessari spostamenti geografici di alcuni vigneti, anticipi di vendemmia da ottobre a settembre per altri, cambi di varietà in alcune aree o addirittura abbandono della viticoltura in determinate zone diventate climaticamente inospitali per la vite. A tutto questo si aggiunga che, secondo le previsioni di queste studiose, una maggiore temperatura potrebbe far aumentare le malattie, ma anche mutare la qualità dei vini, con eccessi di contenuti zuccherini nell’uva, alto tenore alcolico e bassa acidità.
Uno scenario che nel lungo periodo potrebbe apparire apocalittico, ma che, se affrontato subito e con le misure giuste, forse non lo è così tanto. Si veda l’esempio dell’Australia, colpita da catastrofi ambientali di ampia portata negli ultimi anni, dove secondo alcune stime nel giro di qualche decennio i quattro quinti delle aree più vocate per la viticoltura potrebbero non essere più adatte a far crescere la vite, soprattutto a causa della siccità. Ma qui non si resta a guardare: qui le università del Paese stanno studiando la situazione ed esortano lo sviluppo di sistemi di monitoraggio costante del vigneto, con sensori e droni, e per applicare metodi di irrigazione a goccia, in modo da controbilanciare la sempre più preoccupante carenza d’acqua. E mentre uno dei più importanti produttori, la Brown Brothers, ha già preso la radicale decisione di trasferire la produzione di vini nella più fresca Tasmania, nell’articolo integrale trovate anche le rivoluzionarie proposte di Climate Futures, il programma della Macquarie University di Sidney capitanato dal professor Isak “Sakkie” Pretorius, che ritiene che l’unica soluzione sia una drastica conversione a un’economia oltre il carbonio, che elimini totalmente le emissioni climalteranti.
Conclude questa inchiesta anche una riflessione proposta da una ricercatrice australiana, Miriam R. Dunn, che evidenzia come vi sia una discrepanza tra le esigenze che hanno i climatologi nel condurre le loro analisi, che lavorano su orizzonti temporali di lungo periodo, e le necessità di chi conduce un’attività agricola, come la viticoltura, che invece ha bisogno di previsioni più a breve termine. Questo apre uno spazio per studi sul clima elaborati sulle specifiche esigenze dei singoli settori produttivi, che in realtà già esistono e sono riportati nell’articolo integrale.
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