Ancora cattive notizie per l’industria vitivinicola argentina che da anni soffre di una profonda crisi strutturale. Il 2017 è stato definito da alcuni catastrofico (così ad esempio Andrew Krom sulle pagine de La Nacion). Cominciato male, nel 2016 El Niño e una gelata primaverile avevano compromesso il raccolto lasciando le cantine quasi senza uva, lo scorso anno ha visto una crescita delle importazioni di vino sfuso del 786%. Si tratta di 810.104 ettolitri – sono questi e i seguenti dati dell’Instituto Nacional de Vitivinicultura (INV) – ed è soprattutto vino cileno 771.909 ettolitri (95% circa sul totale), prodotto che nel 2016 “pesava” sul mercato locale per 90.885 hl (su di un import totale di 91.443 hl) e l’anno precedente – nel 2015 – per soli 998 hl (su di un import totale 1283 hl).
Cresciute anche le importazioni di vino in bottiglia, +217% vs 2016 fino a 8.046 hl. Nel complesso dunque (sfuso + frazionato) le importazioni di vino sono cresciute in un solo anno del 772%. La situazione è così critica che addirittura qualcuno, si tratta di Omar Félix deputato del Partito Justicialista al Congreso Nacional, ha recentemente presentato una proposta di legge che prevede, tra le altre azioni di sostengo all’industria vitivinicola, uno stop di 10 anni alle importazioni di sfuso cileno (ne avevamo parlato qui).
Al contempo, le vendite interne che rappresentavano circa l’80% del fatturato dell’industria vitivinicola, si sono contratte del 5,4% vs 2016, mentre le esportazioni sono diminuite del 7,3%.
La situazione sembra disperata, ma uno spiraglio di luce – leggiamo sempre La Nacion – arriva dai primi dati provvisori per il 2018. Secondo l’ultimo report dell’INV infatti a marzo le importazioni di vino sfuso si sono ridotte fino a 0 (erano state di 129.000 hl nel marzo 2017) e quelle di vino in bottiglia hanno totalizzato il volume di 392 ettolitri, il solo 15% di quanto arrivato nel marzo del 2017.
FEB
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