La Brexit senza accordo potrebbe costare cara all’industria britannica degli alcolici anche in burocrazia e di costi a essa connessi: 70 milioni di sterline e insostenibili ritardi.
Secondo quanto denunciato dalla Wine and Spirit Trade Association (WSTA), infatti, il governo del Regno Unito starebbe rinegoziando l’accordo, fatto nei mesi scorsi con l’industria degli alcolici, che in caso di no-deal prevedeva una sospensione di nove mesi di alcuni adempimenti burocratici relativi all’import-export di vino e alcolici.
L’uscita dall’Unione Europea senza accordo escluderebbe il Regno Unito dall’EMCS, il sistema informatizzato comunitario per il controllo dei movimenti tra gli Stati membri di vino e bevande alcoliche, oltre che dei tabacchi e dei prodotti energetici (si tratta in generale di prodotti in sospensione d’accisa in regime sospensivo). Attraverso il sistema EMCS, il documento amministrativo di accompagnamento cartaceo è sostituito con un documento elettronico, ma in caso di no-deal le bevande alcoliche in ingresso e in uscita dall’UK dovranno essere accompagnate da certificati cartacei d’importazione o di esportazione, noti come modelli VI-1. Un inammissibile passo indietro al regime della carta. Secondo i calcoli di WSTA si tratterebbe di dover compilare circa 500.000 nuovi certificati d’importazione e altri 150.000 certificati di esportazione. La redazione di questi moduli comporterà un costo aggiuntivo per il settore di circa 70 milioni di sterline, tra spese di compilazione e necessari esami enologici di laboratorio. Una “tassa”che potrebbe tradursi in un aumento del prezzo del vino al consumo di circa 10p per bottiglia. Si tenga poi presente che i moduli cartacei dovranno essere esaminati e timbrati alle dogane e questo comporterà nuovo lavoro da parte dei funzionari doganali e di conseguenza tempi d’attesa poco compatibili con il commercio del vino.
Attraverso un comunicato (si può leggere qui) Miles Beale, Chief Executive, ha dichiarato che il passo indietro dell’amministrazione sugli accordi presi sarebbe un duro colpo, sferrato da un governo che sembra non comprendere bene il valore dell’industria del vino britannica e nemmeno quello, più generale, delle importazioni per tutta l’economia del paese.
FEB
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