La morsa che stringe il mercato dei rossi vede oggi comporsi in un mix diabolico: cambio clima, nuove generazioni di consumatori, riduzione del potere d’acquisto, dovuto all’inflazione e all’aumento del costo del denaro, insieme a contesti produttivi incapaci, nel breve, di convertirsi verso stili di prodotto più adeguati alle richieste di mercato.
L’insieme di questi di fattori sta spingendo le principali aree rossiste del mondo verso misure drastiche di espianto e riduzione della superficie vitata.
Così, è arrivato anche Italia il vento dell’estirpo dopo che, innescata la miccia in Francia, ha fatto in poco più di un anno il giro dei vigneti delle principali aree produttive mondiali: Spagna, California e fino in Australia, nazioni dove il calo dei consumi preme e mette a rischio decine di migliaia di ettari vitati (soprattutto rossi).
Nel nostro Paese – la questione è oggetto di un servizio di Giulio Somma pubblicato su Il Corriere Vinicolo n. 8 del 4 marzo 2024 – la filiera si divide sulla misura “anticrescita” cui Unione Italiana Vini oppone una logica di gestione programmata dello sviluppo viticolo: “Non distribuire meno ma meglio”, iniziando a cambiare i criteri di assegnazione delle autorizzazioni. In nome della competitività, l’unica vera risposta contro la crisi. Anche perché tutti sono d’accordo che i fondi della promozione non si devono toccare.
“Siamo fermamente contrari a qualsiasi azione di estirpo con premio attraverso risorse del PNA, inclusa la ristrutturazione, che sono mirate a rafforzare la competitività delle impose del vino e a orientare le produzioni al mercato, non a incoraggiare l’abbandono della vigna. Gli obiettivi della Ocm devono restare sulla competitività e adattamento al mercato e, domani, aiutare a gestire la transizione climatica”